ROMEO, IL PARTIGIANO CON LA MOTO DA TRIAL

UNA PERSONA SPECIALE CON LA MOTO DA TRIAL ……

Avevo già raccontato, qualche tempo fa, di una persona speciale in occasione di una mia solita esternazione sul motoalpinismo, vi avevo anticipato la figura di Antonio Noceti, meglio conosciuto nell’ambiente genovese come Romeo, in dialetto “Rume” per gli amici.

Cos’ha di speciale Romeo?

A mio parere, e di tanti che lo conoscono, ha molto di speciale, in particolare è una persona semplice e non è uno di quelli che si mettono in mostra ad ogni occasione, non è uno di quelli che sa tutto, che sa fare ogni cosa meglio degli altri e non perde l’occasione per manifestarlo, diciamo che, in questo senso, ha delle similitudini con il trial: è una persona che si muove in punta di piedi e sta attento a dove li mette per non calpestare chi gli sta intorno!

E come tutte le persone speciali che si muovono in punta di piedi è difficile fargli raccontare qualcosa di più sulla sua esperienza di vita per portarla alla conoscenza di tutti.

Infatti è più facile sentire cosa dicono i conoscenti di lui, così, sulla base dei racconti degli amici in comune, miei e suoi compagni di giri in moto, sono rimasto notevolmente incuriosito da ciò che mi hanno detto durante le soste in mezzo al verde mentre pulivamo le mulattiere dimenticate, quando mi spiegavano come si viveva nelle vecchie case perdute nei monti e collegate solo da antichi tracciati nascosti dalla vegetazione.

Mi raccontavano che ci passavano in moto con Romeo, che Romeo aveva indicato loro i passi che conosceva come le sue tasche su cui oggi anche io giro in moto …

E mi dicevano: “Belin, ma nun ti u cunusci u Rume”? …..

Poi un giorno, durante una uscita felice sui “nostri” sentieri, troviamo un arzillo signore di quasi 80 anni che, dopo un giretto con il suo fantic da trial, si gustava l’allenamento di Baghino, promettente vent’enne nel campionato italiano junior!

Romeo, classe 1927, aveva scoperto il trial nell’ormai lontano 1974 all’età di 47 anni e da quel momento non lo aveva più abbandonato!

Ho avuto allora come un lampo di ricordo che mi ha riportato ad una escursione motoalpinistica organizzata qualche anno addietro nel comune di Vobbia, una “mulatrial” come la chiamiamo noi.

In quell’occasione avevo notato una figura non più giovane, ma comunque allenata e dotata di una tecnica di guida raffinata, che conduceva la sua moto in una mulattiera in discesa accompagnando i gradini con il movimento tipico di chi ha usato le moto da trial ai tempi dei pionieri della disciplina….., infatti la figura era quella di Romeo e lì già mi dicevo, ma guarda, se il trial ti fa quell’effetto e ti fa fare certe cose a quell’età allora è uno stimolo a continuare!

Così abbiamo iniziato a parlare un po’ e ho capito che su “Rume” c’era di più ….

Poco per volta, diciamo in punta di piedi, sono comparse le prime notizie, ovviamente non da lui, ma dagli amici in comune, ed ho scoperto che la memoria storica dei passi della Val Noci nel Comune di Montoggio (Provincia di Genova) è stata prevalentemente quella di Romeo che ha tramandato le sue conoscenze di quei sentieri, vissuti quando, a neanche 20 anni nel ’44, sfuggiva alle rappresaglie dei tedeschi e lottava insieme ai partigiani nascosti in montagna!

PAESE DI NOCI

Per quelle mulattiere, Romeo, prima con il nome di battaglia “Lasagna” e successivamente con il nome “Renato” ricopriva il ruolo di caposquadra del III Distaccamento dei Partigiani della Volante Severino, allora operativa sui crinali e sui monti che insistono sulla Val Noci e sull’Alta Valle Scrivia della Provincia di Genova.

Romeo faceva parte di una ristretta formazione di, circa 25 – 30 persone, comandata da suo zio Michele Campanella, nome di battaglia “Gino”.

Qualcosa mi ha raccontato, un pò controvoglia proprio perché è una persona che sa stare in disparte, sulla sua partecipazione ad alcune azioni di guerriglia, che è scampato, gettandosi a terra, ad una bomba a mano lanciatagli dai fascisti su una mulattiera dove oggi ci passiamo in moto, ho intravisto in lui ancora oggi la paura e lo stupore che ha provato su un altro tracciato verso il paese di Canate, di notte, mentre stava portando in montagna una cassa di mine trafugata ai tedeschi a Cavassolo con un agguato, quando è inciampato e la cassa gli è caduta a terra …… fortunatamente senza esplodere!

E un amico mi ha detto perchè lo chiamavano Lasagna ….. perché quando i contadini del paese di Canate lo ospitarono durante le sue fughe si mangiò delle teglie intere di lasagne ….. si dice che ne vada matto!

Nella sua semplicità mi ha raccontato che la sua giovinezza era lontana dagli stimoli e gli agi di oggi: era difficile girare addirittura in bicicletta (andava sui cerchioni senza copertoni) e il periodo più bello dell’adolescenza lo aveva passato con il mitra in spalla in montagna per contrastare l’arroganza ed la persecuzione derivante dall’occupazione nazista.

Mi ha raccontato dove lui e suoi compagni si nascondevano in quegli anni difficili: nei paesi ora abbandonati di Campoveneroso, di Noci, di Canate e altri, mi ha spiegato anche dove dormiva in piedi, dentro un buco ricavato nel fieno di una cascina uno, dei più “duri” partigiani il “Rosso”, uno dei suoi miti e modelli di allora!

LA SEDE DEL COMANDO DELLA VOLANTE SEVERINO A NOCI (Provincia di Genova)

Per spiegarmi queste cose e descrivermi i posti gli è stato utile ricordarmi come ci arriviamo oggi con la moto da trial, con gli attuali punti di riferimento, e ciò mi ha ulteriormente affascinato: una memoria sui fatti e sulla vita, che ha contribuito a fare la storia, raccontata da uno dei suoi protagonisti che ha poi ripercorso quei tracciati con la moto da trial, portandoci altri amici più giovani e tramandando, con la sua presenza e la memoria dei percorsi in chiave motoalpinistica, anche il ricordo di “Gino”, del “Biondo”, di “Risso”, di “Chianti” e di “Giuda” che a Campoveneroso ci ha lasciato la vita!

Così ho capito che, per persone semplici e coraggiose come lui, ancora oggi, è difficile parlare di quei tempi, chi ha vissuto parte della sua vita combattendo in armi contro le rappresaglie e la repressione non si è tolto completamente la corazza interiore che ha indossato allora per resistere …

Questo l’ho intuito solo quando gli ho chiesto di sapere di più sul periodo della Resistenza, forse sono stato invadente o inopportuno, allora Romeo, nella sua semplicità mi ha regalato un libro “Scarpe Rotte” scritto dal “Biondo”, Attilio Camoriano, un altro protagonista dei fatti da lui descritti, che era giornalista del Secolo XIX di Genova, come se mi dicesse: “se vuoi sapere di più sull’argomento leggi le cose come sono state scritte da chi sa scrivere, così vedi che non ti ho contato balle, è tutto scritto lì, parliamo invece di moto e se vuoi scrivere qualcosa su quello che ti ho detto non ti fermare sul passato che ormai non interessa più tanto, ci siamo rimasti in pochi di quel tempo, parliamo del motoalpinismo che non ne parla nessuno…”.

Così mi ha raccontato che ha comprato la prima moto da strada nel 1951, una MM 250, che non si ricordava più quante ne aveva avute in seguito, però si ricordava molto bene che gli piaceva ammirare il tramonto dai monti come lo guardava ogni sera da fuggitivo e così si era preso un Gilera 175 da regolarità fuoristrada.

Con quella moto si inerpicava, con fatica, verso i forti di Genova nell’ormai lontano 1974 e, un pomeriggio nei presi del Forte Diamante incontra due dei pionieri del trial a Genova, Lino e Ugon, che avevano due moto “strane” per l’epoca, basse, sella piccola, ruote tassellate molto sgonfie, che si guidavano in piedi e affrontavano gradini e pendenze impossibili per il gilera ….

E’ stato un colpo di fulmine, Romeo ha capito la bellezza derivante dall’essenza e dalla semplicità del trial perché, come lui, il trial è una passione semplice ed essenziale, che gli permette di arrivare “in punta di pedi” al suo obiettivo: vedere il sole al tramonto in montagna.

CON IL MONTESA E L’ABBIGLIAMENTO “TECNICO” ….

Da allora è nato il nucleo di trialisti che poi si è propagato “in punta di piedi” nella realtà genovese valicando i crinali dell’Appennnino ligure attraverso quei passi che vent’anni prima Romeo percorreva anche al buio e che in quel momento pativano già dell’abbandono degli abitanti dell’entroterra ….

Così mi ha raccontato che con la moto da trial ha percorso di nuovo tutte le montagne sui sentieri che usavano i partigiani per arrivare ai punti concordati con gli alleati per il lancio di viveri, armi e munizioni, solo che ora poteva girarli in poco tempo e, poco per volta, queste cose le raccontava ai nuovi amici!

Ha segnalato i passi che ormai si erano chiusi per l’abbandono e, con i nuovi compagni, si è prodigato per pulirli e restituirli all’uso comune, così sono rinati i percorsi che da Montoggio salgono a Campoveneroso, scendono al paese di Noci fino al fiume e risalgono sul crinale che divide l’omonima valle da quella del Canate, crinale oggi rinominato come Alta Via dei Monti Liguri.

IMPENNARE A 50 ANNI ….

Un’opera, un ulteriore contributo che è passato “in punta di piedi” quasi inosservato per circa 15 anni, Romeo con i suoi amici mi testimonia che molti percorsi sono rimasti in vita per il fatto che li tenevano aperti con il transito e con la regolare pulizia manuale.

Alta Via che poi è stata oggetto di una protezione con legge regionale specifica che però ha vietato il transito delle moto da trial perché ritenute incompatibili con l’ambiente!

Una vera contraddizione, ma come è stato possibile! Nella zona di Montoggio e Davagna senza 15 anni di passaggio di Romeo e dei suoi amici in moto il tracciato si sarebbe perduto, altro che farlo diventare un percorso protetto, sarebbe diventato un percorso fantasma!

I “MURI” CON IL FANTIC …

Protetto da chi, ci domandiamo oggi, protetto dalle persone speciali come Romeo che lo hanno usato e vissuto e con l’uso ne hanno comunque tramandato a nuove generazioni i fatti, gli aneddoti, l’essenza di ciò che in quei posti è successo nel passato per fare si che il sacrificio di quel tempo non si perda nel nulla?

Sarà arduo trovare una risposta a questo interrogativo quando Romeo semplicemente mi dice che gli unici passi aperti oggi sono nelle stesse condizioni del 1944 solo perché ci giriamo con le moto da trial e li teniamo in ordine mentre quelli “perduti” lo sono solo per leggi eccessivamente protezionistiche o semplicemente perché sono stati dimenticati e quindi sono franati o scomparsi, nascosti dalla vegetazione ….

E mi ha raccontato che lui col trial è stato sull’Alpe Sisa, sull’Antola, sul Tobbio, sul Leco, sull’Aiona, sul Maggiorasca, al Lago delle Lame e si è girato tutti i crinali della Provincia di Genova e non solo.

SOTTO L’ALPE SISA

Così con gli amici del gruppo “storico” più di 20 anni fa è stato uno dei soci fondatori del Motoclub della Superba, un sodalizio che nel tempo è cresciuto, che ha visto nuovi adepti del trial, persone che fanno motoescursionismo sui tracciati della Val Noci e tramandati dai racconti di Romeo ……

E su quei tracciati il Motoclub della Superba di Genova, piano piano, “in punta di piedi” sull’esempio di “Rume”, ha ottenuto le autorizzazioni al transito su quelle mulattiere, ha riaperto e restituito all’uso di tutti circa 50 km di percorsi, perduti nelle montagne ma ben presenti nella memoria di chi c’era passato con “Rume”, ha ripristinato sul tracciato l’antica lapide originale che ricorda uno dei compagni caduti a Campoveneroso e lì, con il patrocinio del Comune di Montoggio, della Comunità Montana Alta Valle Scrivia e della Provincia di Genova, viene organizzata una escursioni di moto da trial su due giorni che contribuisce a diffondere la memoria.

PUNTO DI RISTORO PRESSO LA LAPIDE DI NOCI ALLA MULATRIAL DI MONTOGGIO

E Romeo è diventato anche giudice di zona del trial per rimanere comunque a contatto con i giovani del motoclub, perché il suo spirito, pur passando gli anni ha mantenuto quella semplicità e genuinità anche grazie al trial e ciò di positivo che esso può rappresentare perché è semplice ed essenziale come lui.

Tutt’ora collabora con il suo Motoclub che custodisce i percorsi della sua giovinezza e della sua maturità, lo vidi anche girare con una nuova montesa 4 tempi in occasione della 4^ Mulatrial organizzata nel Comune di Montoggio con la collaborazione delle istituzioni del paese…

ROMEO MENTRE PROVA LA MONTESA 4T

Qui ha concluso, con un po’ di malinconia, il racconto perché negli ultimi anni ha visto anche l’accanimento dei divieti nei confronti del trial da parte di persone che hanno perso il contatto con la semplicità e con la reale tutela del territorio.

Gli sembra così strano che sulle strade dei nostri nonni dove una volta vi transitavano con animali o a piedi e poi con le moto da trial oggi si possa camminare a malapena a piedi e forse neanche così ….

E’ così difficile approvare dei regolamenti che prescrivano di transitare in moto da trial solo sulle mulattiere senza invadere i prati anzichè vietare ad oltranza, è così semplice il ragionamento!

Forse il trial è veramente semplice e “in punta di piedi” che passa inosservato, non lascia tracce evidenti perché si confonde e si integra molto bene con il territorio che frequenta, tanto che chi deve scrivere le regole non lo conosce e lo assimila al motocross, all’enduro,agli altri sport fuoristradistici, che invece non sono così discreti … e perciò il trial ne paga le conseguenze!

L’esperienza di vita di Romeo è una testimonianza semplice ed essenziale di come il trial possa contribuire positivamente nel tempo alla tutela dell’ambiente restituendo i percorsi alla fruibilità di tutti, al mantenimento della memoria dei fatti delle località abbandonate con le nuove generazioni, al rispetto sociale delle persone avanti negli anni con il coinvolgimento nelle nuove attività.

Per ciò che ha fatto, per ciò che sta facendo e per ciò che ci ha ricordato nella sua semplicità “in punta di piedi” Romeo è una persona speciale, grazie Romeo.

ROMEO